UNA SERATA SPECIALE (di Sabrina Ginocchio) - Sabrina Ginocchio

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Una serata speciale

 
La borsa è proprio bella, ma immagino le parole di Lorenzo, “Un’altra borsa?”, me la farebbe riportare indietro perché ne ho già una di color blu.
Il rintocco delle campane mi distoglie dalla vetrina. È tardi devo sbrigarmi se voglio preparare una cenetta coi fiocchi. Mi incammino a passi svelti verso la pescheria. Entro nel negozio e la voce squillante di Mario mi accoglie.
«Luisa, come sei bella!» E mi regala un inchino.
«Tutto merito della parrucchiera», dico mentre sento le guance diventare rosse, mannaggia la mia timidezza, mi imbarazzo sempre davanti ai complimenti. «Sono qui per ritirare il pesce che ho ordinato stamattina».
«Ah sì, eccolo qua, pesce spada di prima qualità, desideri altro?»
Con la testa faccio segno di no.
Mario fa il conto, mi consegna il sacchetto e da esperto mi congeda con il suo consiglio. «Mi raccomando fallo sulla piastra, aggiungi solo una spremuta di limone e vedrai che Lorenzo si leccherà i baffi».
«Grazie Mario.» Ed esco dal negozio.
Arrivo a casa, ho un’ora per preparare tutto, prima del suo arrivo. Sistemo la spesa.
Voglio che sia tutto perfetto.
Sono nervosa ieri avevamo litigato, mi ero dimenticata di passare in lavanderia a ritirargli le camicie e si era arrabbiato al punto che aveva smesso di parlarmi.
Me lo ripeto: deve essere tutto perfetto. Ci devo riuscire, meno male che il dolce l’ho fatto stamattina prima di andare al lavoro, il preferito di Lorenzo: la panna cotta.
Come contorno preparo un’insalata mista, con le cose che piacciono a Lorenzo: lattuga, pomodorini, mela, frutta secca e feta.
Sistemo velocemente il divano, riassetto i cuscini e metto il telecomando del televisore bene in vista sul bracciolo così Lorenzo lo trova senza chiedere il mio aiuto.
Ho i minuti contati, meglio che mi cambio. Ma Ettore, il gatto di Lorenzo, miagola ha fame. Giusto devo pensare anche a lui. Gli apro una scatoletta e cambio la lettiera che emana un odore sgradevole.
Ora posso pensare a me.
Indosso il vestitino blu, e le scarpe col tacco, anche se ho un gran mal di piedi, e per completare l’opera metto il grembiule. Tutte queste piccole cose a Lorenzo mettono il sorriso.
Preparo la tavola. Dal cassetto prendo la tovaglia che ci ha regalato sua madre. Nessuna candela, io la vorrei, ma lui non sopporta l’odore che emanano, non gradisce neanche quelle neutre.
Prendo dal frigo il suo vino preferito e lo metto dentro al secchiello col ghiaccio.
Mi guardo intorno, ho fatto tutto, sono stata un fulmine.
Vado in bagno e metto un filo di trucco, quel che basta per nascondere le occhiaie dalla stanchezza, niente rossetto a Lorenzo non piace, ama baciare le mie labbra al naturale.
L’insicurezza mi assale, il timore di sbagliare, il pensiero di commettere qualche stupido errore mi rende ansiosa, ma faccio un bel respiro e mi auto rassicuro: “Luisa sarà tutto perfetto, sarà una serata speciale”.
Spengo la luce, lascio le mie apprensioni lì in bagno, al buio. Vado in cucina a preparare il pesce.
Il portone si apre, mi volto e vedo Lorenzo che trova le sue ciabatte all’entrata.
Mi raggiunge ai fornelli e mi avvolge in un caloroso abbraccio e mi bacia.
Poi si scosta. «Sei andata dalla parrucchiera?»
«Sì», volto la testa per fargli vedere meglio il nuovo taglio.
«Mi piace» e mi scocca un bacio. «Ho molta fame stasera», mi fa l’occhiolino e va al tavolo.
Versa il vino per entrambi e capisco che ho fatto tutto senza errori. Sono fiera di me. Non posso commettere sbagli col pesce, devo stare attenta alla cottura.
Gli sorrido mentre mi porge il bicchiere per un brindisi, avvicino le labbra al calice e Lorenzo orgoglioso mi dice: «Temperatura perfetta. Sono passati pochi mesi di matrimonio e già ti ho insegnato molte cose»
«Imparo in fretta.» Bevo un piccolo sorso.
Lorenzo ignora il mio commento, il trillo del suo cellulare cattura la sua attenzione. Mentre finisco di cucinare, Lorenzo non smette di rispondere ai continui messaggi sul cellulare.
Servo il pesce spada a tavola e Lorenzo abbassa il volume della suoneria, lasciandolo vibrare senza rispondere.
Iniziamo a mangiare in silenzio.
Taglio il pesce solo con la forchetta, porto il boccone in bocca, è tenero si scioglie lasciando il sapore del mare nel palato. Attendo soddisfatta il suo parere.
Lorenzo posa il coltello e la forchetta, si appoggia allo schienale della sedia e muove la testa, è contrariato. Mi lancia la stessa occhiata di ieri, quella che precede la tempesta.
«L’hai cotto troppo». E lo afferma con un tono brusco.
Cerco di rimediare. «Il mio è perfetto, vuoi che facciamo scambio» e gli porgo il mio piatto.
Lorenzo lo prende e lo scaraventa a terra.
«Guarda, neanche il gatto si avvicina per mangiarlo». Il suo accento è pieno di rabbia e un sarcasmo cattivo.
Deglutisco il boccone amaro della paura.
Mi alzo e vado a raccogliere i cocci. Anche oggi ho commesso un errore. Un’altra serata in frantumi.
Lui continua a mangiare lamentandosi della cottura.
Anche se ho perso l’appetito, mi risiedo e magio un po' di insalata. Ho l’impressione di mangiare ortiche, ogni boccone lo rigiro in bocca molte volte prima di inghiottirlo. Tengo la testa bassa temo il suo sguardo. Il suo sguardo deluso.
Almeno sul contorno non si lamenta. Non è insipida, non è troppo salata. È giusta.
Illusa, sta scartando i pezzi di mela, li sta mettendo sul bordo del piatto. Eppure, in vacanza, al mare prendeva sempre l’insalata mista e non toglieva nulla. Forse la mela che ho comprato non è buona, anche se a me piace.
Lorenzo non mi dice nulla, ma ha quello sguardo scontento, quello sguardo che mi fa male dentro, quello sguardo da insoddisfatto. Prima del matrimonio non mi aveva mai guardato così. Come moglie lo sto deludendo.
Prendo il dolce, nella speranza di fargli tornare il buon umore.
«Sopra alla panna cotta ci vuoi il caramello o la marmellata di frutti di bosco?»
«Non sai ancora i miei gusti? Vergognati». Lorenzo appoggia i gomiti sul tavolo e mi osserva.
Perché si comporta così? Perché mi tratta così? Lui la panna cotta la mangia in tutti i modi.
Devo mantenere la calma e non scoppiare a piangere, anche se ho gli occhi gonfi dal dispiacere.
Io volevo una serata speciale. Una serata perfetta, piena di coccole, come quando eravamo fidanzati, invece è una serata sbagliata, dove ogni mio errore ha un peso insopportabile sul mio cuore.
Metto la marmellata. Gli porgo il dolce con le mani tremanti.
Lui inizia a mangiare. Non mi dice nulla. Lo so che i frutti di bosco sono i suoi preferiti.
Mi siedo e attendo un suo segnale di pace.
Cerco di riequilibrare la situazione. «Spero sia buona? L’ho preparata stamattina prima di andare al lavoro.»
Niente. Rimane in silenzio.
Non voglio che la serata termini nel silenzio e mi faccio coraggio e gli domando: «Lorenzo, tutto bene al lavoro?»
Mi ignora.
Termina di mangiare il dolce, prende il cellulare e va sul divano. Mi lascia sola, con il mio senso di inadeguatezza.
Accende il televisore, alza il volume come se io non esistessi.
Sistemo la cucina stando attenta a non fare troppo rumore, per non disturbarlo.
Accendo la lavapiatti, mi tolgo il grembiule e vado vicino al divano. Spero che mi inviti a sedermi accanto a lui, ma non lo fa. Mi fa male, quando mi ignora. Non mi arrendo e mi siedo al suo fianco. Sul monitor scorre un film poliziesco. Non è il mio genere e lui lo sa.
Ma rimango lì per lui, per noi.
Il suo braccio si muove, spero in un suo abbraccio, come quello che mi ha dato prima, appena rientrato in casa, pieno di amore. Ma non fa nulla di tutto ciò. Si gratta la testa.
La sua indifferenza mi fa male. Ogni attimo di silenzio rimbalza sopra di me come degli schiaffi e il dolore mi graffia il cuore, mi brucia dentro.
Domani mattina ho il turno alle sei, inutile aspettare un segno di pace, meglio che vado a riposare. Domani sarà un altro giorno.
«Io vado a letto, buona notte.» Glielo dico mentre gli sfioro la guancia con un bacio.
Lui rimane indifferente.
Vado in bagno. Accendo la luce e le paure che avevo spento prima si riposseggono raddoppiate.
Lo specchio rimanda l’immagine del mio volto e abbasso lo sguardo. Il dolore lo sento dentro non lo voglio anche guardare. Mi lavo i denti e vado a letto.
Lorenzo non abbassa il volume del televisore.
Vorrei addormentarmi subito, per anestetizzare la mia sofferenza. Mi sento in colpa. Colpevole di non essere perfetta.
Sono nel letto da sola e il mio pensiero mi porta a quando ero piccola, quando mi richiudevo nella mia stanza per non sentire mio padre ubriaco che urlava a mia madre perché, secondo lui, lei non era in grado di insegnarmi le cose.
Da piccola ero convinta di essere difettata.
Avevo chiesto anche alla mia maestra di aiutarmi.
Con la mia ingenuità le chiesi: “Maestra, ho un difetto, non riesco a fare una cosa, mi può aiutare?”
La maestra, mi prese da parte e mi ascoltò.
“Maestra, io riesco a chiudere gli occhi quando non voglio guardare qualcosa che non mi piace. Io riesco a tappare il naso quando non voglio sentire un odore sgradevole. Io riesco a tenere la bocca chiusa quando non voglio parlare. Ma… io non riesco a tappare le orecchie quando non voglio sentire. Metto le mani alle orecchie, ma i suoni passano lo stesso. Mi insegna a tappare le orecchie?”
La maestra mi diede una carezza e mi rispose che non ero difettata che anche lei non ci riusciva. Poi si avvicinò al mio orecchio e mi bisbigliò: “Sei speciale, non dimenticartelo mai. Non sei muta puoi parlare”
Mi rigiro nel letto e sussurrò le parole della maestra perché le mie orecchie le devono sentire: «Sono speciale. Non sono muta».
Le ripeto un’altra volta, perché sento che mi fanno bene.
«Sono speciale. Non sono muta».
Scaravento le lenzuola e con un sobbalzo mi alzo e raggiungo Lorenzo.
Prendo il telecomando e spengo il televisore.
Lorenzo mi guarda, approfitto dell’attimo del suo sgomento per non dargli spazio e parlo: «Io sono speciale. E tu non mi farei sentire in colpa perché tu sei diventato prepotente. O cambi atteggiamento o me ne vado. Decidi tu».
Lorenzo alza la mano, ma poi l’abbassa.
Rimane in silenzio.
Io ritorno a letto, consapevole che potrei perderlo per sempre. Mi pento di quello che ho fatto e detto. Ho esagerato. Non ho mai alzato la voce con lui. Ma sento il cuore più leggero, non sento il peso dell’inadeguatezza, ho solo il grande timore di perderlo.
Nella casa regna il silenzio.
La sveglia suona, lui non è al mio fianco. Allungo la mano sul suo cuscino ed è freddo, forse ha dormito sul divano.
Mi alzo.
La luce della cucina è accesa. Un senso di paura mi invade.
Trovo Lorenzo in piedi, davanti ai fornelli. La tavola è apparecchiata per la colazione. Non l’ha mai fatto. Lui mi vede e mi viene incontro.
«Perdonami». Mi dice con in mano il caffè latte per me. Rimango sorpresa, prendo la tazza e l’appoggio sul tavolo.
Questa volta sono io che rimango in silenzio, temo in un suo cambiamento d’umore negativo.
Lui si avvicina e mi abbraccia. «Perdonami, cambierò!»
Lorenzo ha preso la sua decisione, non vuole perdermi.
Una serata speciale ci attese tutte le sere.

 
 

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